ultimo aggiornamento 1 Marzo 2024
Altheo People – Elisabetta Caracciolo
guarda il Format di Elisabetta Caracciolo “Tasche piene di Sabbia”
Che cos’è Tasche piene di sabbia?
Si potrebbe facilmente rispondere un libro, ma in realtà, come tutti i libri, è molto di più. Soprattutto per chi l’ha scritto, appassionata di viaggi, di avventure, di rally e amante di polvere, sabbia, disagi, a volte sofferenza. Perchè partecipare negli anni Novanta a rally raid lunghi come la Dakar, o la Parigi Mosca Pechino, o la Parigi Città del Capo, o anche il Faraoni, non era una passeggiata di salute.
E in questo libro tutto ciò è spiegato. Nei minimi particolari. La sua autrice, e cioè la sottoscritta, ha iniziato a muovere i suoi primi passi nel mondo del giornalismo nel 1984: radio private, televisioni e infine quotidiani, specializzandosi negli anni nel settore sportivo, in particolare Motorsport. Corriere Motori, La Gazzetta dello Sport, Autosprint, Motosprint, TuttoMoto, In Moto, Auto Fuoristrada in quegli anni in cui internet ancora non esisteva e l’unico modo per seguire le avventure al di là del Mediterraneo erano i giornali cartacei e pochi canali televisivi. Nel 1991 la mia vita è cambiata, per un mucchio di ragioni. Ma è soprattutto in quell’anno che ho seguito la mia prima Dakar, la prima di ben 28 edizioni, di cui due vissute come concorrente in camion. Tasche piene di sabbia parla di tante gare, comprese le Bajas che una volta erano davvero toste, fra Spagna e Portogallo, e parla di personaggi, tanti, con le loro storie più intime, alcune divertenti, alcune malinconiche e drammatiche. Si ride e si piange ‘viaggiando’ fra i 35 capitoli scanditi dalle lettere dell’alfabeto che raccontano più il passato che l’attualità. Un dietro le quinte divertente tracciato viaggiando in auto ma anche in camion e addirittura in scooter, per esempio sulle piste del Marocco con l’Atlas Rally alla fine degli anni Novanta. L’amicizia con Clay Regazzoni, Renè Metge, Stephane Peterhansel, Fabrizio Meoni, Jutta Kleinschmidt, Heinz Kinigadner, Giacomo Vismara, Ciro De Petri: i loro racconti e ritagli di gare passate fra road book, partenze all’alba, tortellini e nottate trascorse lavorando in cucina aspettando i ‘sopravvissuti’ delle speciali più difficili, quelli che spesso arrivano a bordo del popolare camion balai alle prime luci dell’alba.
Una storia che inizia dalla macchina da scrivere quando i computer e internet ancora non esistevano e gli articoli si dettavano al telefono, mentre i rullini attraversavano il mondo nello zainetto di qualcuno per arrivare, forse, sui tavoli delle redazioni. Copilota per passione sono stata risucchiata dal mondo delle competizioni alla fine degli anni Ottanta, quando donne a fare questo mestiere ce n’erano davvero pochissime e ho dovuto scegliere se correre o scrivere: scelsi la seconda. Per oltre 20 anni alla Dakar per Gazzetta e Autosprint, per altri cinque, gli ultimi, per Motorsport.com con la fortuna di lavorare in un ambiente che mi appassiona e al quale ho dedicato tutta la mia vita. Tanti anni fa ho scritto ‘Dakar Borderline’, pubblicato nel 2002, raccontando la storia del pilota ‘Ciro’ De Petri attraverso le foto di un carissimo amico, spesso al mio fianco in gara, Gigi Soldano a cui, giustamente, ho dedicato anche un capitolo di Tasche piene di sabbia. Nel 2012 ho aperto un blog dedicato alla specialità sportiva – www.worldrallyraid.com – per condividere un archivio, cartaceo, enorme, che vale la pena scoprire e conoscere. Soprattutto per chi come è ama questo mondo.
Giornalista, speaker, organizzatrice e mente diabolica di tante iniziative, ho costantemente idee che finiscono per coinvolgere amici e piloti: senza di me, mi ripetono spesso, in Italia, negli ultimi trent’anni non si sarebbe parlato forse, così tanto, di rally raid.
Tasche di Sabbia – Dakar e altri rally, racconti straordinari e semiseri.
Perchè si sente il bisogno di scrivere un libro?
Una vera e propria domandona…In realtà io non ci avevo mai pensato seriamente prima di farlo ma è stato un caro amico e collega, un mentore per me, di nome Beppe Donazzan, che oggi purtroppo non c’è più. Lui fra i tanti suoi libri aveva scritto anche Dakar. L’inferno nel Sahara e decise, all’epoca, di darlo a me da correggere. Mi elesse suo correttore di bozze e anche revisore, chiedendomi anche la prefazione. Inutile dire che fu per me un piacere e un onore e alla fine Beppe mi disse…”Ma scusa, ho scritto io un libro sulla Dakar che ne ho fatte solo tre e non lo scrivi tu che ne hai fatte ventotto?”.
Cominciò tutto da lì…
Beppe aveva ragione, ma soprattutto a spingermi fu anche quella mole immensa di materiale cartaceo, che ancora oggi giace nei miei archivi. Classifiche, cartelle stampa, fogli, foglietti e articoli, contenitori di diapositive, stampe in bianco e nero: un mare vero e proprio nel quale qualsiasi appassionato amerebbe naufragare…avrebbe da leggere per intere settimane. Tutto messo via, collezionato e catalogato (per modo di dire) dal 1986 a oggi. Iniziò così, e mi resi conto subito che scrivere un libro richiede tempo, e anche isolamento e pace: tre cose che io non avevo. Però l’ho fatto e il risultato è piaciuto, agli altri, e anche a me stessa. Beppe aveva bocciato l’idea dei capitoli legati alle lettere dell’alfabeto, l’editore invece si è innamorato subito del progetto. E così è nato Tasche piene di sabbia. In sette mesi ho scritto, cancellato, corretto, riletto, riscritto e poi riletto ancora. Alcuni capitoli sono nati di getto, da soli, e non ci ho più rimesso le mani; altri invece li ho limati, sistemati, riscritti. Impaginato insieme al grafico, selezionato le diapositive, fatto scansioni, frugato ovunque in casa per ritrovare cose che, puntualmente, ho ritrovato solo dopo essere andata in stampa.
Ho riletto la bozza finale 13 volte prima di dare l’ok, con gli occhi che si incrociavano, ma ho capito che a un certo punto, come si fa con i figli, bisogna lasciarlo andare. Un libro è un pezzo di te, ti appartiene e staresti costantemente a correggerlo, a riscriverlo, a raccontare quel dettaglio in modo diverso. Ma a un certo punto devi smetterla: devi fermarti e devi lasciarlo andare, altrimenti non lo finirai mai. Per questo nell’ultima pagina del mio libro ho scritto di mio pugno una frase, che promette a breve il secondo. Che è in gestazione, in effetti, e che addirittura mi ha dato l’idea per un terzo. Spero entro l’anno, di finirne almeno uno dei due, ma le cose da mettere a posto sono tante, a cominciare da un editore diverso, nuovo. Sto scrivendo e continuo a scrivere. Perchè per me, me ne rendo conto ogni giorno, scrivere è un bisogno fisico, una necessità concreta. Ho bisogno di raccontare, di scrivere, di mettere sulla carta – per modo di dire – le parole che mi nascono dal cuore prima di tutto, poi dall’anima e dalla mente. Amo scrivere – ancor più di leggere – e amo poter raccontare, condividere, trasmettere.
A pensarci bene non scrivere un libro, per me, era impensabile… Avrebbe snaturato il mio essere, la mia natura.
I Format di Elisabetta Caracciolo