Moto Art Factory – 100 lire nel Jukebox


 


80 anni di divertimento al prezzo di una monetina


La musica da sempre protagonista della nostra vita. Ogni canzone segna un periodo, un momento e un ricordo. Con le storie del jukebox, riviviamo quei momenti e le emozioni che ci può regalare una canzone. Molti generi si scambiano in una altalena di musica di ieri e di oggi. Dalla musica pop che nacque negli anni sessanta e stava a indicare le correnti artistiche innovative dell’epoca che avevano una matrice popolare. Alla musica rock con i grandi che hanno segnato la storia della musica, fino al melodico e alla musica italiana. Racconti, immagini e storie dei protagonisti della musica, un piacevole susseguirsi di emozioni da vivere nelle storie del jukebox.

Il gettone che cade nella fessura, il rumore dei dischi che scorrono durante la selezione, le luci colorate e i brani che partono da quella irresistibile “macchina musicale”. Era questo lo spettacolo suggestivo messo in scena dal jukebox, la “scatola magica” che fece sognare giovani e non solo, spopolando nei bar e prendendo la scena di film e serie. Anche quando le bombe della seconda guerra mondiale fermarono la musica in favore della produzione di ordigni bellici il jukebox non si spense definitivamente: attese la fine di quella pazzia per tornare a suonare già nei primi anni 50, più forte di prima perché raccoglieva l’entusiasmo di una generazione che si rialzava dalle macerie mossa da una forte voglia di allegria e svago per tornare a vivere.


100 lire nel Jukebox – Musica Italiana



 

100 lire nel Jukebox – Musica Internazionale



 

100 lire nel Jukebox – Live





Protagonista assoluto dell’intrattenimento, non poteva mancare nei locali. Attorno a quell’accessorio nascevano amicizie e amori, simbolo di aggregazione e di divertimento, trasformandolo in un vero fenomeno di costume. L’imponente diffusione del jukebox fu direttamente proporzionale alla portata rivoluzionaria che ebbe dal punto di vista sociale ma anche musicale: per la prima volta si potevano scegliere e ascoltare brani in ogni luogo, per di più ballandoci intorno. Una nuova modalità di socializzazione, dunque, tramite un nuovo modo di fruizione musicale. Importante anche l’impatto che questa storica invenzione ebbe sul mercato discografico, divenendo spesso canale privilegiato di nuovi singoli che arrivavano ai giovani magari in un bar in riva al mare in un assolato pomeriggio d’estate. Gli antenati dei cd e dello streaming crearono un immaginario intramontabile, di atmosfere festose e fluorescenti, come i tubi che caratterizzavano certi modelli e che contribuirono a creare uno dei pezzi di modernariato ancora oggi più ambiti.

Il jukebox non fu solo un’invenzione o una novità, fu un vero uragano di innovazione. La produzione e la fruizione massicce ebbero un impatto dalla forte eco sociale, culturale, musicale ed economica. Nel 1936 le maggiori case produttrici (Wurlitzer, Seeburg, Rock-Ola, Ami), immisero nel mercato americano ben 40.000 esemplari. I bar e i diners dell’America degli anni 50 e 60 non potevano non avere quella spettacolare scatola sonora e la musica al prezzo di un nichelino divenne uno dei passatempi preferiti della vita americana dell’epoca. In queste foto d’archivio il jukebox è protagonista, magari inconsapevole e defilato, accessorio e sottofondo, ma strumento immancabile di un’atmosfera che invase ogni settore della società. Wurlitzer, Seeburg, Rock-Ola e, in misura minore, Ami furono le grandi case produttrici che dal 1930 al 1960 immisero nel mercato americano numerosi esemplari. I primi apparecchi erano in legno e contenevano 12 dischi 78 giri. Ma la storia del jukebox affonda le radici già nell’800: il primo prototipo, infatti, fu inventato da Louis Glass e William S. Arnold  nel 1890. Si trattava di un fonografo che veniva alimentato da monete e che emetteva musica da una sorta di tubi. Se la musica automatica esisteva già nel XIX secolo, bisognerà attendere il 1906 per avere la funzione di selezione musicale nella forma di dischi da grammofono: fu la John Gabel Company che presentò un giradischi a moneta con cambiadischi automatico, il Gabel Automatic Entertainer. In questo strumento, che come tutti i giradischi dell’epoca doveva essere caricato a manovella, il suono usciva da un altoparlante a corno. Solo nel 1920 ci sarà l’evoluzione verso il vero jukebox, grazie all’arrivo dei dischi registrati e suonati elettricamente. Il cuore del jukebox era il sistema di cambio per mezzo del quale i dischi venivano accatastati, estratti per essere suonati sul piatto e poi riposti. Il primo esemplare risale al 1927 presentato dalla Ami che, nonostante abbia anticipato le antagoniste, non ebbe il primato nel mercato americano.

Ognuna delle maggiori case produttrici sviluppò un suo particolare sistema: a cominciare dalla Wurlitzer, che fece del cambiadischi in mostra la sua caratteristica, seguita per alcuni periodi anche dalle altre industrie; usava il sistema “Simplex”, con il quale i dischi erano tenuti in ripiani, quando uno di questi veniva selezionato ruotava sopra il piatto che si alzava, prendeva il disco e lo portava fino al braccio della puntina che si spostava sopra il disco facendolo suonare. La Rock-Ola aveva un sistema “Multi-selector” molto simile a quello della Wurlitzer mentre la Seeburg usava un meccanismo “Freborg”, che permetteva di far scivolare i dischi fuori dal portadischi fino al piatto. Infine la Ami, il cui cambiadischi si rivelò talmente efficiente che durò fino alla seconda metà degli anni 50: i dischi venivano accatastati in un portadischi fisso, a rastrelliera, e venivano estratti da un braccio meccanico che li posizionava sul piatto. Quando al funzionamento tecnico si aggiunsero colore, suoni e stile, il mito del jukebox prese forma, dando vita ad un sistema musicale che divenne protagonista di un’epoca, collante inconsapevole di momenti culturali e sociali oltre che un’imponente macchina economica e commerciale. Fu la Wurlitzer che dopo il suo primo modello del 1933, segnò il record di vendite mai più eguagliato nella storia: esattamente 80 anni fa, nel 1936, vendette ben quarantamila jukeboxes. Ben presto anche gli altri due colossi del settore, la Seeburg e la Rock-Ola, si allinearono e iniziarono a produrre numerosi apparecchi. L’apice fu raggiunto negli anni 40/50, quando il jukebox invase i locali e i luoghi di aggregazione, diventando la colonna sonora di giorni nuovi e densi, anticipatori di lotte sconosciute e di sconfitte, di speranze incoscienti e di fallimenti. Quella scatola luminosa e colorata divenne parte integrante dell'”American way of life”. Non è chiaro come sia nato il nome “jukebox”, secondo alcune teorie sarebbe una corruzione della parola “jook”, un termine che nello slang della gente di colore significava danzare e “box”, la scatola che riproduceva la musica. Un’altra corrente di pensiero sostiene che “jook” significa sesso e che il “jook box” era il sistema per fare musica usato nei bordelli, mentre altri fanno risalire il termine a “jute joints”, i locali in cui i braccianti che raccoglievano la iuta si riposavano. Oltre che per il riferimento alle case chiuse, la parola ebbe una connotazione negativa perché aveva caratterizzato gli “speakeasy“, i locali clandestini in cui si vendevano gli alcolici. La cosiddetta “musica in scatola” fu amata e odiata ad un tempo: l’atmosfera magica portata dal sound di Artie Shaw o di Glenn Miller nei cocktail bar contrastava con le proteste dei musicisti che accusavano quella potente “macchina sonora” di sostituirli rubando loro il lavoro.
Ma l’ascesa del jukebox fu inarrestabile, sospinta dalla crescente coscienza della musica che il pubblico aveva grazie alla radio e ai dischi. Tra i vari modelli che costruirono la mitologia del jukebox uno in particolare è degno di nota: il 1015 della Wurlitzer, nato nell’immediato dopoguerra fu protagonista della piú grande campagna pubblicitaria mai dedicata ad una macchina a moneta e rivolta al grande pubblico. Questa versione innescò un imponente processo di marketing invadendo pubblicità, riviste e locali. Simbolo per eccellenza del divertimento dei giovani degli anni 50/60, ne furono costruiti ben 50.000 esemplari e questo modello, a differenza degli altri, non subì colpi dall’evoluzione del mercato perché, invece di essere ritirate, le nuove versioni del 1015 furono riadattate e perfezionate, passando dal 78 giri al 45. Grazie al microsolco, il vinile forní una carica di efficienza e di fedeltà di suono ai jukebox. La Seeburg, la più tecnologica tra le case di produzione, cavalcò l’evoluzione presentando il modello M 100A, che conteneva 100 dischi a fronte dei 24 degli altri esemplari, seguito dall’M100B che permetteva di scegliere tra 50 dischi da 45 giri incisi su entrambi i lati.
Fino agli anni 60 ci fu un’acerrima lotta fra le maggiori case produttrici che continuarono a sfornare nuovi modelli ad un ritmo convulso in un’affannosa gara senza esclusione di colpi. Il jukebox era diventato “il divertimento al prezzo di un nichelino” preferito dall’America. Esso sopravvisse al suo declino negli ultimi anni 40 grazie ad una spinta decisiva di nuova tecnologia e stile. Durante gli anni 50, sulla scia degli svaghi delle classi abbienti e del consumismo dilagante, il jukebox si adeguò ai tempi prima con i dischi a 45 giri, poi con l’hi-fi, con il disco microsolco e infine con lo stereo, cambiando in continuazione per adattarsi agli umori e alle esigenze di quegli anni. Ora che i colori sono sbiaditi, le luci rotte e i dischi fermi, ora che non ci sono più nichelini da inserire in una fessura perché la musica è disponibile in streaming in modo illimitato, sarebbe bello soffiare via la polvere dagli ultimi esemplari ancora chiusi in qualche fumoso magazzino e riscoprire il fascino del sound impreciso, leggermente sporcato dallo stridore del disco durante la selezione di un pezzo di Bing Crosby o di Chuck Berry, di Hank Williams o di Elvis Presley.