Cristina Sartori – Bruno Riccardi – Les Routes – Caucaso

ultimo aggiornamento 20 Novembre 2023



Da tempo desideravamo visitare il mondo caucasico, nella fattispecie gli stati di Georgia, Armenia ed Azerbaigian, ed eravamo incerti se andarci in aereo e affittare un’auto, oppure andarci con la nostra macchina. Appurato da racconti pubblicati da altri viaggiatori che le zone montagnose della Georgia è opportuno percorrerle in fuoristrada, decidiamo di partire con la nostra Toyota Land Cruiser a fine maggio 2023, purtroppo rinunciando a visitare l’Azerbaigian poiché, come ci è stato detto dalla loro ambasciata di Roma, l’accesso al paese via terra è al momento vietato agli stranieri. Mistero.


E così, attraversate Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria e tutta la Turchia sulla sponda del Mar Nero,  entriamo in Georgia e subito attraversiamo la città di Batumi. Se il Mar Nero si presenta carino, a tratti suggestivo, Batumi è una città a nostro modo di vedere deludente. Enormi brutti palazzi in stile sovietico si mischiano ad esteticamente orribili palazzi moderni, evidente segno di una speculazione selvaggia che ha trasformato quella città in un luogo turistico dalle lunghe spiagge, copiando il peggior modello di sviluppo turistico riscontrabile in molte località sul Mediterraneo. Ricordiamo che tutta l’area della Georgia occidentale era chiamata dagli antichi, soprattutto greci, Colchide.


Passate le località di Poti e Zugadidi, imbocchiamo la strada che in 280 km va verso la regione della Svanezia nel Caucaso Superiore al confine con la Russia, lungo la stretta e angusta valle del fiume Patara Enguri (nomi tremendi, specie se scritti nell’incomprensibile alfabeto georgiano). Il primo tratto si presenta come una campagna bucolica con molte mucche e maiali che pascolano allegramente lungo la strada obbligando ad una guida molto attenta. Poi lambita la regione dell’Abkazia, dove è vietato entrare poiché ha dichiarato l’indipendenza dalla Georgia e la volontà di unirsi alla Russia, la strada si fa stretta e tortuosa, in un territorio selvaggio con piccolissimi villaggi abbarbicati. Lo spettacolo è notevole però… inizia a piovere copiosamente! Salendo di quota, passiamo tra le nuvole che formano una fitta nebbia e, con una strada bruttissima nell’ultimo tratto con molte buche, arriviamo a Mestia, cittadina capoluogo della Svanezia, dove prendiamo alloggio in un alberghetto nuovissimo gestito da una simpatica e carina ragazza che parla inglese.


Mestia a 1500 mt. di altitudine e con circa 2000 abitanti è bella, ci sono alcuni alberghi e ristoranti, perfino una piccola banca e il distributore di benzina. Molte case sono ristrutturate e si capisce che la zona ha intenzione di diventare un polo turistico… ma devono migliorare la strada di accesso! La battezziamo”Bardonecchia del Caucaso”. Intorno alla cittadina svettano quattro cime superiori ai 5000 mt. di altitudine ma causa pioggia e nubi sono poco visibili. Solita sfiga.





Nei giorni seguenti visitiamo i selvaggi dintorni di Mestia ma in particolare, andiamo nel villaggio di Usghuli a 45 km di distanza, abbarbicato a 2200 mt. di altitudine in una conca dove si coglie tutta l’essenza del Caucaso. Il villaggio è abitato tutto l’anno da popolazione di etnia “svaneti” una minoranza georgiana dedita alla pastorizia, ma è raggiungibile solo per sei mesi all’anno allo scioglimento delle nevi. Scopriamo che da Mestia, delle guide locali con fuoristrada accompagnano qualche turista a Usghuli e decidiamo di andarci pure noi con la nostra 4×4. Così intraprendiamo un percorso per alcuni chilometri asfaltato, ma che si trasforma presto in una pista di montagna molto ardita, ripida, strettissima, con a sinistra la classica parete rocciosa verticale e a destra un dirupo spaventoso e senza alcuna protezione. La cosa più impegnativa è data dalla pioggia battente che inizia a scendere, trasformando la pista in una fangaia scivolosissima che ci vede costretti anche ad attraversare piccoli guadi formati dalle acque di cascate copiose che scendono con notevole violenza dalla parete rocciosa, causa la forte pioggia. Percorso estremamente impegnativo.



Arrivati al villaggio finalmente smette di piovere e visitiamo lo stesso stupiti da ciò che vediamo. Tutte le case di origine medievale, hanno una torre che aveva lo scopo di avvistare i nemici, ma aveva anche lo scopo di tenere d’occhio i vicini, per le numerose liti tra le famiglie della comunità. Il luogo è in posizione geografica magnifica e con le costruzioni che si scorgono, si capisce il motivo per cui è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Pecore, capre, mucche e splendidi cavalli, girano indisturbati tra le case del borgo e qualcuno si è industriato a costruire una sorta di rifugio di legno per chi ha il coraggio di giungere fin qui, dove ti danno pure da mangiare e da dormire. Facciamo conoscenza con una anziana donna locale, ma neanche a gesti riusciamo a capirci.





La discesa da Usghuli a Mestia con la nostra Toyota è sempre di un certo impegno, specie per l’eventuale incrocio con altri mezzi, dove in due non si passa proprio, ma per fortuna ha almeno smesso di piovere.



Lasciata la Svanezia, ci dirigiamo verso sud-est per fare tappa nella città di Gori, luogo natio di tal Josif Vissarionovic Dzugasvili, assai più noto con lo pseudonimo di “Stalin”, l’uomo d’acciaio, il georgiano più famoso di sempre, dittatore per molti anni dell’Unione Sovietica. E’ curioso constatare che attualmente la Georgia è in pessimi rapporti con la Russia per la questione dell’Abkazia e dell’Ossezia del sud, ma il mito di Stalin non così diffuso in Russia, in Georgia permane, tant’è che il museo dedicato al dittatore nella città di Gori è notevole, ben organizzato, frequentatissimo da frotte di turisti giapponesi, europei e russi, ed è trainante per l’economia locale. Prendiamo alloggio in un bell’albergo vicino al museo nella Stalin Avenue (sic!) e, constatiamo che l’ingresso al museo è sito nella Stalin Square! Fate voi.


Per chi si interessa di storia, come chi scrive, il museo è interessantissimo e non comprende solo effetti personali del dittatore, ma sequenze fotografiche in bianco e nero molto importanti che ne ripercorrono la storia sua personale, dell’Unione Sovietica dei suoi tempi, della Seconda guerra mondiale. Nell’area museale è compresa l’umile casa dove nacque Stalin e la carrozza ferroviaria con la quale lo stesso si recava ai convegni internazionali come quelli di Yalta e Teheran con Roosevelt e Churcill, sulla quale ci consentono di salire.






Dopo Gori, decidiamo di trasferirci ad est, verso l’Azerbaigian, nella zona nota come la “Regione dei vini”. Tappa, iniziale è il graziosissimo centro di Sighnaghi, sulle colline vinicole zeppe di viti, dove constatiamo un centro perfettamente ristrutturato con le case in stile georgiano con le famose balconate di legno. La località è ormai un centro turistico conosciuto, zeppo di localini in stile tradizionale molto raffinati dove, con prezzi europei, è obbligatorio procedere all’assaggio di calici di ottimi vini locali. Ovviamente lo facciamo pure noi… constatando a fine giornata una certa “allegria”, e predisposizione al ridere sulle amarezze della vita; insomma, eravamo un po’ brilli, specie Bruno.


 

 

Successivamente facciamo tappa nella bella città di Telavi, la più importante e capitale della Regione dei vini georgiana che per noi ha un buffo nome, infatti si chiama Cakezia. E’ proprio in questa regione che venne prodotto per la prima volta il vino, all’incirca 4000 anni a.c. che poi si diffuse nel Mar Nero e nel bacino del Mediterraneo.




A questo punto mettiamo la barra decisamente a sud per entrare in Armenia nella zona del lago Sevan, dove ci sono molte cose da vedere. Scopriamo nostro malgrado, che le pratiche per entrare in Armenia sono lente, lunghe e assai barbose. Facciamo conoscenza in quel contesto di un giovane iraniano di nome Mahdi che sta rientrando nel suo paese. Costui si occupa di organizzare viaggi in Iran e pertanto ci scambiamo i contatti poiché quel paese potrebbe essere la meta di un nostro prossimi viaggio.

Partiti dalla frontiera si aprono le cateratte del cielo e inizia una pioggia copiosissima ed il buio. Arriviamo molto stanchi sulle sponde del lago Sevan dove alloggiamo in un resort (si fa per dire) in stile sovietico, dove per prezzi da zona turistica italiana ci danno un letto e un pasto.


Il giorno successivo non piove più e ci rechiamo sulla penisola del lago dove sorge la chiesa armena di Sevanavank; decidiamo di non visitarla tanto è presa d’assalto da centinaia, forse migliaia di turisti, in un contesto a nostro avviso assai triste di venditori di souvenir, bar, pizzerie, caos, sporcizia in ogni dove. Pessimo spettacolo.

 

 




Seguiamo la costa del lago a tratti molto bella, per giungere al villaggio poverissimo di Noraduz dove visitiamo accompagnati da una guida locale, il cimitero medievale con tombe che vanno dal IX° al XVI° secolo più famoso dell’Armenia. Le tombe che sono circa 800, sono sormontate da alti steli in pietra del monte Ararat, dette “khachkar”. Queste steli sono tutte scolpite e raccontano la storia della famiglia dell’individuo. Tutto molto interessante.




 

Spostatici verso sud, oltre un passo a 2550 mt di altitudine, visitiamo il caravanserraglio di Selim fatto costruire nel 1332 dal principe Orbeylan, sulla Via della seta. La struttura che presenta scritte in armeno e persiano, è molto più “ruspante” di altri caravanserragli da noi visitati in passato ma, visitandone l’interno, par di vedere ancora uomini e cammelli conviverci, al fine di scaldarsi nei rigidissimi inverni su queste montagne.



Procedendo ancora più a sud verso il Monte Ararat che qui compare di una bellezza particolare, visitiamo la chiesa-abbazia di Khor Virap, sita in un luogo molto panoramico, famosa poiché è il posto dove nacque la Chiesa Armena, la Chiesa Cristiana più antica. Constatiamo la notevole presenza di russi con macchine molto costose, come già in parte avevamo notato in Georgia. Non tutti hanno l’aria di essere turisti. Saranno scappati dalla Russia per non andare a combattere in Ucraina? Chissà.



Altro sito estremamente interessante in Armenia è quello del villaggio di Garni, dove tra l’altro dormiamo in un alberghetto molto carino in posizione assai panoramica. Nel pressi del villaggio sorge il tempio pre-cristiano risalente al I° secolo a.c., dedicato al dio Mihr, Mitra. Questo tempio è posizionato su un’altura che lo rende visibile da molto lontano. Attualmente è luogo di riferimento della setta degli “hetaneisti”, dei neopagani armeni che hanno fatte proprie molte idee del nazismo. Il fondatore della setta fu tal Garegin Njdeh, un generale armeno che durante la seconda guerra mondiale comandò la Legione Armena delle Waffen SS contro i sovietici i quali, dopo il conflitto gli fecero un culo a parapioggia; morì in carcere nel 1955. (si vede che Bruno è appassionato di storia, o no?). Ora, dopo il crollo dell’URSS i suoi seguaci, indubbiamente fuori come dei balconi, adorano Mitra, Aramdz, Anahit, Astghik, Vaghan, Tir, Nane e altri dei ancora. Bruno, colpito dalla dea dell’amore Astghik quasi si convince alla conversione. Fate voi…



Lasciata l’Armenia rientriamo in Georgia per visitarne la caotica ma molto bella capitale Tbilisi. Questa città ha un centro storico grande e assolutamente di pregio. Perfino i sovietici vi costruirono palazzi di architettura avveniristica molto pregevole. I quartieri della riva destra del fiume Kura sono davvero belli, con vaste isole pedonali, una famosa sede di terme di acque sulfuree, chiese ortodosse, una bellissima moschea, la sinagoga ebraica, il tempio zoroastriano più settentrionale del pianeta, purtroppo chiuso per lavori, ecc. e tanti ristorantini dove abbiamo mangiato di tutto, compresa una cena con cucina uzbeca. E’ una città che consigliamo a tutti di visitare, e ci risulta sia collegata con l’Italia via aerea; da non perdere.



Intraprendiamo poi il viaggio di ritorno senza nulla da segnalare tranne che nella capitale della Bulgaria, Sofia, abbiamo dormito in un albergo in puro stile “socialismo reale” dove non prendevano il pagamento con la carta di credito e sembrava di essere tornati negli anni ’60 del secolo scorso. Però in quel luogo abbiamo cenato ottimamente in compagnia di una simpatica coppia di italiani, Patrizia di Milano e Carlo di Bologna, che il giorno dopo rientravano in Italia in aereo.




E’ stato un bel giro in un’area multiculturale e multireligiosa, un viaggio che ti invoglia ad andare ancora più ad est, in Iran, Uzbekistan, Tagikistan. Speriamo di potere ripartire presto.