Moto Art Factory Rock legend – David Bowie – Space Oddity


Moto Art Factory – Rock Legend – I 100 singoli che hanno fatto la storia del Rock

David Bowie – Space Oddity





Ci sono musicisti e band che, nella propria carriera, si limitano a seguire le tendenze musicali, magari anche in modo notevole, ma mantenendosi pur sempre sulla strada spianata da altri prima di loro. Ci sono artisti che, invece, sono dotati di personalità e qualità sufficienti a cambiare il volto di determinati generi musicali e che risultano dunque precursori per intere ere musicali. E, infine, un ristrettissimo gruppo di artisti è dotato di qualità talmente importanti da potersi permettere di non seguire o inaugurare alcuna strada, limitandosi ad andare tranquillamente per la propria senza curarsi di generi o correnti artistiche. Uno di questi, senza alcuna ombra di dubbio, è David Bowie: musicista, polistrumentista, attore, cantante, poeta, sex symbol ed icona gay, il Duca Bianco ha incarnato intere ere non solo della musica, ma anche del costume. Allo stesso modo, chiaramente, si è evoluta la sua proposta sonora, che ha visto alternarsi folk, rock classico, psichedelia, glam rock e new wave senza problemi.


Oggi, in particolare, ci soffermeremo sul suo secondo lavoro in studio, Space Oddity, da alcuni considerato il suo primo vero album benché sia a tutti gli effetti un lavoro di transizione: vi troviamo difatti, musicalmente parlando, un’atmosfera a metà fra il folk ed il vaudeville del primo eponimo LP e quello che sarà il rock più incisivo del successivo The Man Who Sold the World. Volendo tracciare un paragone forse un po’ improbabile, ma nemmeno così eccessivo, potremmo pertanto dire che l’influenza maggiore in questo album sembri essere quella di Bob Dylan. La maturazione del David Bowie artista, dunque, seppur già notevole rispetto al lavoro precedente, è ancora in embrione e, pertanto, non si ha un vero e proprio filo conduttore stilistico che leghi fra loro i vari brani contenuti in Space Oddity: abbiamo pertanto un brano malinconico ed etereo come la stupenda title-track affianco ad una canzone molto più sostenuta come Unwashed and Somewhat Slightly Dazed, passando per una traccia vagamente prog rock come Cygnet Committee. Se da un lato, dunque, non possiamo che notare l’interessante varietà, va altresì detto che non sempre questa mancata omogeneità appaghi del tutto l’ascoltatore.


Molto più interessante, invece, è il discorso che può esser fatto a proposito dei testi dell’album: anche qui, naturalmente, siamo ancora lontani dall’impressionante capacità lirica che il Duca Bianco raggiungerà nei successivi lavori, così come alcune delle sue tematiche più care, prima fra tutte l’alienazione, sono presenti in misure ancora molto ridotte, come ad esempio in quel capolavoro già citato che è la title-track. Eppure, anche da questo punto di vista, in Space Oddity possiamo cogliere i primi segnali di ciò che l’artista scriverà soltanto a partire dal successivo lavoro, il tutto unito ad una sincerità a dir poco disarmante sulla propria sfera emotiva e sentimentale. Il leit motiv dell’album, difatti, è il fallimento della relazione fra David Bowie e la fidanzata Hermione Farthingale, come possiamo notare nella dolorosa ed emblematica Letter to Hermione, che contiene versi come: 

They say your life is going very well
They say you sparkle like a different girl
But something tells me that you hide
When all the world is warm and tired
You cry a little in the dark
Well so do I
I’m not quite sure
what you’re supposed to say
But I can see it’s not okay.


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Il dolore ed il senso di smarrimento dell’artista per la conclusione di questa relazione, dunque, influenza in modo sensibile la gran parte di Space Oddity, come del resto si può notare anche in An Occasional Dream. L’altra grande tematica lirica del disco riguarda un’altra personale delusione di David Bowie, anche se stavolta la sua sfera sentimentale non c’entra nulla: in particolare sul singolo Memory of a Free Festival, difatti, il Duca esprime tutta la sua rabbia e la propria tristezza per l’ingloriosa fine del movimento hippy, partito per cambiare la concezione del mondo di allora e svendutosi al pari di tanti, troppi movimenti. Da versi come:



I gave them life
I gave them all
They drained my very soul… dry
I crushed my heart
to ease their pains
No thought for me remains there
Nothing can they spare
What of me?
Who praised their efforts
to be free?
Words of strength and care
and sympathy
I opened doors
that would have blocked their way
I braved their cause to guide,
for little pay.


contenuti nella già citata Cygnet Committee è facile notare la profondità della delusione (o forse sarebbe meglio dire disillusione?) di Bowie per il fallimento del flower power. Infine, sulla scia di Bob Dylan, un altro tema considerevolmente importante di questo disco è l’invito a diffidare dei guru, di chi promette mari e monti per poi lasciare i loro fedeli con un pugno di mosche in mano. Anche questa polemica, come tutte le altre caratteristiche liriche di Space Oddity, saranno oggetto di riflessioni molto più mature in seguito, ma è impossibile non notare già ora l’acutezza della penna dell’artista.


In conclusione, dunque, non possiamo che ribadire le osservazioni presentate nel corso dei precedenti paragrafi: si tratta senza ombra di dubbio di un lavoro ancora immaturo, sia per quanto riguarda la musica, ancora troppo derivativa e debitrice del folk rock di protesta, sia per ciò che concerne parte dei testi, ancora non dotati della straordinaria profondità di quelli del Bowie più saggio e riflessivo. Eppure, anche in Space Oddity, è impossibile non notare la particolarità e complessità dell’artista britannico, qui solo all’inizio di un viaggio che lo porterà ad essere una delle figure leggendarie della storia di tutta la musica, non solo di quella più prettamente rock.


Space Oddity, storia della canzone che ha portato in orbita David Bowie.


Ci fu un tempo nel quale le canzoni non erano semplici canzoni. Ci fu un tempo nel quale le canzoni mostravano immagini, sogni, utopie. Ci fu un tempo nel quale le canzoni influenzavano le esistenze e aiutavano ad aprire la mente, si davano da fare per indicare una via, per viaggiare, spesso oltre il consueto, verso lo spazio. Da lì ci si poteva fermare e osservare il mondo che si muoveva freneticamente, e si poteva anche decidere di rimanere in alto, persi tra gli astri. Questa è la storia del brano che porterà in orbita David Bowie, la canzone che darà il via al suo straordinario successo consacrandolo come una delle stelle più brillanti del firmamento pop.



Gli antefatti



Luglio 1968: David Robert Jones ha da poco cambiato identità trasformandosi in David Bowie (il nuovo cognome lo ha preso dal film La battaglia di Alamo, uno dei personaggi era tale Jim Bowie, creatore di coltelli). Il cambio però non gli è bastato per arrivare alle stelle di cui sopra. Parecchi sono i singoli già incisi, addirittura un intero album (David Bowie, 1967) ma il nostro non ha ancora trovato il modo di ergersi tra i tanti che in quel creativo periodo si accalcano alla ricerca del successo. Anche nella vita privata le cose non si muovono come il giovane vorrebbe. Mesi prima aveva conosciuto  una delle ballerine della compagnia di Lindsay Kemp, tale Hermione Farthingale, di cui si era perdutamente innamorato. David era a tal punto preso dalla storia da decidere di abbandonare il tetto paterno per cercare casa con la sua nuova musa. Questa, dal canto suo, contribuirà non poco a ispirargli i primi look cangianti della sua carriera (dal mod della primissima fase si è infatti trasformato in un riccioluto e colorato hippy). Questa improvvisa fiammata è però destinata a breve vita, la storia si sta consumando e David sente il mondo crollargli addosso.


Una bizzarra odissea



Un giorno, durante le fasi finali della storia con Hermione, Bowie si reca al cinema. In quel periodo proiettano un film di cui tutti stanno parlando con ammirazione, un kolossal fantascientifico dai risvolti filosofici partorito dal registra statunitense Stanley Kubrick. Si intitola 2001: A Space Odissey. E’ probabile che David fosse parecchio fuori di testa quando lo vide per la prima volta, sta di fatto che i suoi affanni e qualche aiuto psichedelico lo portano a rimanere sconvolto dalla visione del film, così tanto da recarsi a rivederlo più volte, incatenato da quelle immagini lentissime ma dal fascino unico.


Per combinazione in quei giorni il suo manager Ken Pitt gli ha chiesto di comporre qualcosa di nuovo da inserire nel cortometraggio promozionale Love You Till Tuesday. Qualcosa di completamente diverso e inaspettato rispetto a ciò che aveva fino a quel momento pubblicato. 1968 vuole dire osare, aprire le coscienze, sperimentare, offrire al pubblico musica nuova, suoni inauditi.


La visione del capolavoro di Kubrick spinge così Bowie a cimentarsi con la composizione di una ballad dal sapore fantascientifico che il suo creatore decide di intitolare Space Oddity, gioco di parole tra la Space Odissey del film e space odd ditty (bizzarra filastrocca spaziale).


La prima versione in duo


Una volta composto il brano stranamente a David non viene in mente di proporlo in veste solista bensì in coppia con il chitarrista John Hutchinson, con il quale ha da poco creato un duo alla Simon & Garfunkel. Il progetto ha preso forma da un terzetto che Bowie aveva formato poco prima con Hermione e il chitarrista Tony Hill. Il terzetto si chiama Tortoise e si occupa di offrire spettacoli multimediali di ballo, mimo e musica.  Quando Hill abbandona (lo si ritroverà da lì a poco negli oscuri e seminali High Tide) viene sostituito da Hutchinson. A inizio 1969 la storia con Hermione Farthingale arriva al capolinea e quindi anche il terzetto si scioglie. Rimasto a collaborare con Hutchinson a David viene naturale proporre il nuovo brano in coppia con lui.

Space Oddity racconta le vicende del Maggiore Tom, un astronauta che, staccatosi dalla Terra e uscito dalla sua capsula per affrontare una passeggiata in orbita, a un certo punto interrompe i contatti con la Torre di controllo e si perde nello spazio. Le comunicazioni del Maggiore con la base vengono messe in scena, in questa prima versione, da Bowie (che canta la parte di Tom) e da Hutchinson (che fa le veci della Torre di controllo).


Visconti si mangia le mani



Una volta registrato un demo acustico del brano questo fa il giro della case discografiche ottenendo l’interesse della Mercury che intuisce il potenziale massmediatico della canzone in un momento così importante per l’esplorazione dello spazio, con l’uomo che sta per mettere piede per la prima volta sulla Luna.

Scartata l’idea di fornirne una versione in duo la canzone viene affidata alle cure di Tony Visconti, storico produttore con il quale Bowie ha avuto e avrà spesso a che fare. Questi però, in preda a forti ideali anti-capitalisti di stampo hippie, rifiuta il lavoro; la pubblicazione del futuro singolo in concomitanza dello sbarco dell’uomo sulla Luna è visto dal produttore come un approfittarsi della situazione per trarne vantaggio economico. Anni dopo Visconti si pentirà amaramente di questa sua intransigenza, troppo tardi però; stante il suo diniego il brano viene affidato al giovane Gus Dudgeon che, con l’aiuto dell’arrangiatore Paul Buckmaster, trasforma una semplice ballata acustica in una canzone che passerà alla storia.


Il Wakeman che fa la differenza



Il 20 giugno 1969 David Bowie registra la versione definitiva del brano. A partecipare alle registrazioni ci sono un gruppo di giovani musicisti; Mick Wayne alla chitarra elettrica, Herbie Flowers al basso (lo si ritroverà in Diamond Dogs e nei sinfonici Sky), Terry Cox alla batteria (proveniente dai folk-rockers Pentangle) e Rick Wakeman (che da lì a poco entrerà negli Yes) al pianoforte e al Mellotron. Proprio quest’ultimo con il suo Mellotron contribuirà all’atmosfera elegiaca e spaziale del pezzo. Wakeman porta inoltre in studio anche un piccolo strumento chiamato Stylophone, formato da una tastiera metallica controllata da una penna elettronica. Il suono, definito atroce dallo stesso Bowie, si rivelerà perfetto per il clima fantascientifico della canzone.


Verso la Luna



I primi minuti del brano sono particolarmente evocativi, con la chitarra acustica, la voce di Bowie e, in sottofondo, il conto alla rovescia della Torre di controllo che annuncia il lancio del modulo spaziale che porterà il nostro Major Tom verso le stelle. Introdotto da un paio di note dissonanti di chitarra elettrica e dagli effetti dello Stylophone, il ritornello esplode poi in tutta la sua bellezza sottolineato dagli accordi del Mellotron.


Il successo del distacco da terra non si rivela però così importante per l’umanità, da piuttosto il via a una serie di speculazioni sulla marca di camicie che Tom indossa. Una riflessione sulla natura ambigua della fama che riporta tutto al mero commercio e alla gratificazione dell’ego. Ma il Maggiore non ci sta: una volta in orbita esce dal modulo per la sua passeggiata spaziale e, osservando la terra da lontano, viene travolto da un’intensa malinconia. Come il computer HAL 9000 di 2001: A Space Odissey, anche Tom si ribella alla sua missione e, mentre dalla Torre di controllo non capiscono cosa stia succedendo, sceglie di rimanere lassù, isolato da tutto e tutti, con lo sguardo fisso verso il nostro pianeta “blue” (che in inglese significa blu ma anche triste).


Il testo di Space Oddity può essere visto come sfogo di Bowie alla sua situazione artistica e sentimentale, un desiderio di isolarsi, staccarsi dal mondo per rimanere solo con se stesso e con i suoi pensieri. Ma non solo, lo stesso David dichiarerà di averla scritta come analisi del sogno americano; «Quando ho scritto originariamente del Maggiore Tom pensavo di sapere tutto sul grande sogno americano, su dove è iniziato e dove dovrebbe fermarsi. C’era la grande esplosione del know-how tecnologico americano che spinge questo ragazzo nello spazio, ma una volta arrivato lì non è del tutto sicuro del motivo per cui è lì. Ed è lì che l’ho lasciato».


David fa centro!



Come è normale che sia ulteriori interpretazioni di Space Oddity si sprecano, c’è chi l’ha letta come metafora della fine delle illusioni dell’era hippy, altri come un trip da eroina. Sul nome del protagonista della canzone c’è invece una teoria: sembra infatti che da ragazzo Bowie avesse intravisto alcuni manifesti che pubblicizzavano il musicista Tom Major (padre del primo ministro John). Al netto di tutto ciò solo una cosa è certa: Space Oddity si rivela il successo che ci voleva affinché la carriera di David Bowie potesse definitivamente spiccare il volo. L’11 luglio 1969 la canzone viene trasmessa dalla BBC come commento sonoro allo sbarco sulla Luna, questo a dispetto di un testo non del tutto affine alla situazione. Bowie in seguito si farà una risata asserendo che probabilmente i capoccia della tv non avevano nemmeno letto le parole. Sta di fatto che da lì a qualche mese Space Oddity inizia la sua scalata alle classifiche inglesi piazzandosi al quinto posto e consacrando definitivamente il suo autore che da quel momento sarà inarrestabile. Se non ci fosse stata Space Oddity forse non ci sarebbe stato il David Bowie che tutti conoscono e non si sarebbe ancora qui a parlarne, cinquant’anni dopo.


Bowie, e oltre l’infinito



David citerà ancora il Maggiore Tom, in due occasioni, nel 1980 nel brano Ashes to Ashes (da Scary Monsters) e nel 1996, nel remix dei Pet Shop Boys di Hallo Spaceboy (Da 1. Outside). Particolarmente affezionato al suo primo grande successo il Duca bianco ne registrerà nel 1979 una versione nuova di zecca da presentare al Kerry Everett New Year Show.

Di Space Oddity esiste una versione (Ragazzo Solo, Ragazza Sola) cantata in italiano dallo stesso Bowie con adattamento del testo da parte di Mogol che nulla ha a che fare con l’odissea spaziale del Maggiore Tom. Numerosissimi poi gli artisti che hanno pagato pegno al brano offrendone una cover, ecco una piccola lista: Lady Gaga, Natalie Merchant, The Flaming Lips, Smashing Pumpkins, Peter Murphy (Bauhaus), Tangerine Dream, Marilyn Manson, Adrian Sherwood, Halloween, Sufjan Stevens, Belle And Sebastian, I Giganti (anche loro in italiano e con nuovo testo di Mogol, questa volta vagamente ispirato all’originale), Andrea Tich (altro italiano, l’unico che ha rispettato il testo originario nella sua traduzione), Morgan, Duran Duran, Elton John.


Nel 2013 l’astronauta canadese Chris Hadfield ha pubblicato una sua interpretazione di Space Oddity, realizzata nella Stazione Spaziale Internazionale, che Bowie stesso ha definito la versione più toccante mai realizzata della canzone. Alla fine Space Oddity ha eseguito il suo compito, è volata nello spazio per ricordarci per sempre i tempi nei quali le canzoni non erano semplici canzoni.