Vogliamo raccontare il significato e la storia di una delle canzoni simbolo del Duca Bianco, ‘Starman’, poi inclusa nell’album ‘The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars’ (1972). ‘Starman’ consente a David Bowie di riconnettersi con la vetta delle classifiche dopo i risultati ancora limitati di ‘Hunky Dory’, pubblicato l’anno prima. Arrivato al 10° posto nel Regno Unito, il singolo – in cui nessuno inizialmente credeva e che infatti è stato registrato per ultimo – è osannato dalla critica. Classico tra i classici di Bowie, ‘Starman’ racconta la storia di un adolescente che scopre alla radio una musica incredibile, mai ascoltata prima. Appurato che c’è speranza perché “non siamo soli” e che “loro” possono raggiungerci e incoraggiare le nuove generazioni di bambini, di giovani, a non mollare mai i propri sogni, cogliamo in metafora l’apertura verso i ragazzi degli anni ’70 e la loro idea di accoglienza dell’altro, del “diverso”. L’uomo delle stelle deve insomma salvare l’umanità passando attraverso i giovani, gli unici in grado di capire il cambiamento, perché desiderosi di cambiare il mondo e legati gli uni agli altri dal linguaggio universale della musica.
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Hanno detto che Sopravvissuto – The Martian rimette la “sci” in sci-fi, ovvero pone l’accento sulla “scienza” di fantascienza. E non sono andati lontani dal vero. Ridley Scott, alle prese con uno script non suo – autore il Drew Goddard della scuderia Joss Whedon – e tratto dal meticoloso romanzo di Andy Weir, un ingegnere informatico reinventatosi scrittore, si dimentica di essere il profeta dei futuri distopici di Alien e Blade Runner. E si limita a fare quel che gli riesce meglio, ossia rendere cinematografica materia che tale non è. Concedendo qualcosa al 3D ma il minimo indispensabile alla computer graphics, Scott consegna la sua epica alle riprese in esterni della desolazione marziana. Le passeggiate di Matt Damon sul suolo di Marte, a bordo del suo rover, ricordano tanto le cavalcate fordiane nella Monumental Valley che gli orizzonti infiniti di Lawrence d’Arabia. E non casualmente, visto che quest’ultimo è stato girato in luoghi vicini al deserto della Giordania scelto per The Martian. La visione di Scott e il suo racconto di un’odissea in cui Ulisse e Robinson Crusoe trovano un ideale punto d’incontro procede in parallelo con i teoremi infallibili di Weir, che vede nel suo protagonista l’ingegnere perfetto, un MacGyver di Marte pronto a elaborare modalità di sopravvivenza sempre nuove in un pianeta ostile. Rosso, brullo e indomabile, il quarto pianeta viene privato della allure che lo ha accompagnato in un tutt’altro che brillante passato cinematografico, attraverso l’espediente di ipotetiche civiltà pre-terrestri (Mission to Mars) o alieni belligeranti (La guerra dei mondi). E presentato per ciò che è, un gigantesco e suggestivo ostacolo alla vita.