Soundtracks – Bon Jovi – Blaze of Glory

ultimo aggiornamento 7 dicembre 2023



 

Bon Jovi – Blaze of Glory – Young Guns


Il rapporto di Hollywood col mondo del rock è da sempre piuttosto continuativo e proficuo. Impossibile rendere conto delle decine di pellicole che hanno più o meno direttamente flirtato, se non direttamente omaggiato, l’epopea rock e i suoi protagonisti. Non faremo torto a nessuno citando ad esempio i numerosi biopic come il recentissimo Bohemian Rhapsody, piuttosto che il celeberrimo The Doors di Oliver Stone o, ancora, gli arcinoti Almost Famous e Rockstar, per arrivare a Wayne’s WorldSinglesAirheadsVelvet GoldmineThe RoseRoadie e via discorrendo, per concludere infine con film che magari non hanno un contatto diretto col rock, ma lo utilizzano in maniera forte ed esplicita per le colonne sonore, come The Last Action Hero o Iron Man 2, per non dire dell’esilarante scena che in Ace Ventura vede il cameo dei Cannibal Corpse sul palco e alle prese con Hammer Smashed Face. Più difficile riscontrare un tale entusiasmo verso il rock all’interno di un genere come il western che, per propria natura, predilige semmai connotarsi di country, folk o al limite gospel e blues: esempio in tal senso è la stupenda colonna sonora del film Pat Garrett & Billy the Kid ad opera di Bob Dylan. Ed è proprio la storia del leggendario pistolero Billy the Kid che ci porta ad un altro film a lui dedicato, il quale vede all’opera stavolta un artista rock per la colonna sonora. Parliamo naturalmente di Jon Bon Jovi, cantante e compositore statunitense, all’epoca appena reduce dal successo tributato a New Jersey e, probabilmente, anche al centro di una riflessione personale che riflette un periodo di crisi all’interno della band che porta il suo nome e che condurrà di lì a poco alla seconda parte della sua carriera, connotata da sonorità meno votate al rock duro e caratterizzate da testi più riflessivi e introspettivi.




 

Il coinvolgimento del bel Jon in Young Guns II, questo il titolo del film, deriva dalla volontà del protagonista Emilio Estevez di inserire la famosissima Wanted Dead or Alive all’interno della colonna sonora. Il film, che fa seguito al successo del primo capitolo, raccoglieva oltre ad Estevez, alcuni dei più famosi giovani attori alla ribalta in quel periodo: Kiefer Sutherland, Lou Diamond Phillips, Christian Slater e William Petersen. Una volta venuto a conoscenza della trama, tutta centrata sulla leggenda di Billy the Kid, Bon Jovi capì che il testo di Wanted Dead or Alive non poteva adattarsi alle necessità del film, ma desideroso comunque di far parte del progetto, scrisse Blaze of Glory, che divenne la traccia promozionale della colonna sonora e, ormai preso dalla situazione, trovò modo e tempo di realizzare un intero album ispirato al film, nel quale oltre alla titletrack troveranno posto anche l’opener Billy Get Your Guns, mentre il tema portante, scritto dal produttore/arrangiatore Alan Silvestri figurerà nella scaletta del disco.


L’album è il primo da solista per Jon Bon Jovi e si discosta in buona parte dalla produzione realizzata fino a quel momento con la band madre, anche se la mano compositiva rimane piuttosto evidente, così come la voce e l’interpretazione del band leader, assolutamente inconfondibili. Il disco non può in realtà neanche considerarsi propriamente una colonna sonora vera e propria, dato che solo due tracce ne faranno effettivamente parte e, infatti, si struttura attorno a dieci canzoni, interpretate da una band e l’unica traccia strumentale sarà appunto il tema portante del film, unico brano non composto da Jon. Stilisticamente, il rock da arena tipico dei Bon Jovi viene messo totalmente in disparte a favore di sonorità più classicamente rock, con ampio uso delle tastiere e di cori e qualche occasionale puntata in altri generi come il country della titletrack, che segue però il modello di Wanted Dead or Alive, ossia l’incontro/scontro tra l’acustico e il distorto, con una atmosfera western di fondo. I cori, quando utilizzati in senso ampio, si rifanno invece alla classica tradizione gospel/soul e il tutto è un’ottima scappatoia per Jon, consentendogli di comporre qualcosa di diverso dal solito copione, senza le pressioni del necessario successo che deve accompagnare le uscite della band madre e senza aspettative da dover soddisfare, se non le proprie. Insomma, tutto quello che un disco da solista dovrebbe essere per dimostrare di avere un senso, a partire dalla spontaneità e dalla volontà di prendersi dei rischi, andando a giocare su un terreno diverso dal consueto. Accompagnato da uno stuolo di ospiti di livello eccelso, tra i quali spiccano naturalmente Jeff Beck, Elton John, Little Richard, Robbin Crosby, Aldo Nova e Kenny Aaronoff, il band leader mantiene comunque saldamente le redini di tutta la produzione. Citazioni della pellicola sono sparse qua e là nel disco, conferendo continuità con la storia, anche se le tracce non seguono una logica sequenziale rispetto al film, venendo meno ad un vincolo che non rispetterebbe la natura del disco. E’ proprio la voce di Emilio Estevez, impegnato nella citazione conclusiva del film, ad aprire il disco, lasciando spazio a Billy Get Your Guns, brano che pur nella sua natura rock, specialmente nella dinamica, con le tipiche armonie alla “Bon Jovi”, mostra già una natura diversa dal solito, con il piano, l’organo e la chitarra slide in primo piano. A seguire troviamo Miracle, canzone che segna una netta cesura con la scatenata opener, mostrandosi nella sua forma di ballata ariosa, condotta dalla fisarmonica e dalle chitarre acustiche, con la voce di Jon a mantenere saldo il legame col suo classico stile, in un contesto però completamente diverso e che sarà foriero di ispirazione futura.


Tempo di calare l’asso ed ecco la titletrack: come detto brano di spessore e di grande atmosfera, che con la precedente Wanted Dead or Alive segna il punto massimo dell’ispirazione “western” uscita dalla penna del compositore statunitense. Gran pezzo, nel quale Jon si sgola in un refrain che colpisce al segno in pieno e tutto gira a meraviglia. Per i curiosi, esiste un racconto di Kiefer Sutherland che spiega la genesi del brano: in pratica, il cast completo era seduto al tavolo di un fast food, intento a sgranare hamburgers e a parlare del film. Al tavolo c’è anche Bon Jovi, sempre più convinto che Wanted Dead or Alive non sia quanto necessario al caso e intento, a quanto racconta Sutherland, a scribacchiare qualcosa per qualche minuto. Tempo di finire un discorso e il cantante annunciò di aver scritto il brano giusto. Sei minuti per una canzone che sarebbe arrivata al numero 1 di Billboard. Leggenda o meno che sia, la canzone resta una delle più interessanti pubblicate negli anni 90 dal musicista. Blood Money è una ballata minimale retta dalla chitarra e dalla fisarmonica e, soprattutto, dalla voce di Jon, protagonista assoluta della scena. I fans della band madre dovrebbero poi prestare molta attenzione all’intro di Santa Fe e forse ci ritroveranno uno stacco molto similare a quello di una famosissima ballad che sarà pubblicata da lì a poco. Si tratta senza dubbio di una delle tracce più significative del disco, con un arrangiamento grandioso con tanto di archi e una bella atmosfera che esalta un testo ispirato: si parla di un episodio reale della vita di Billy the Kid, ma Bon Jovi lo utilizza come sfondo per una riflessione interiore che narra il conflitto tra l’idea di se stesso che ogni uomo ha e quella che invece diventa la sua immagine pubblica, tra i propri ideali e le proprie sconfitte, tra i sogni e i peccati commessi. Non sarà alta letteratura, ma merita una menzione e, peraltro, non è l’unica canzone del disco ad avere delle liriche interessanti. Tempo ora per un altro brano decisamente a segno: Justice in the Barrell inizia con l’imitazione di un canto spirituale nativo, che evolve poi in una intro quasi Pink Floydiana, la quale ci conduce al brano vero e proprio, introdotto da un colpo di pistola e ancora una volta dominato dalla voce del singer, che ci conduce verso il crescendo del refrain, ottimamente sottolineato dallo splendido Kenny Aaronoff alla batteria. Sempre lui è protagonista dell’irrompere rock di Never Say Die, canzone che rialza la dinamica del disco e che in realtà sembra a tutti gli effetti una composizione di Bruce Springsteen. You Really Got Me vuol essere un rock da bar, tutto piano e voce sguaiata con tanto di cori e voci di sottofondo e alla fine riesce a coinvolgere e divertire, aprendo la strada a Bang a Drum, classico brano-carta moschicida con tanto di cori gospel e botta e risposta tra voce solista e coro sugli “Halleluja!”. Nel 1998 Jon inciderà una nuova versione della canzone in duetto con il cantante Chris LeDoux, che otterrà buoni riscontri nel circuito country americano. Chiude il disco Dying Ain’t Much of Livin’, altro pezzone con uno splendido riff di tastiera, nel quale è possibile sentire anche il piano e i cori dell’illustre ospite Elton John. In coda, come detto, Guano City, tema portante del film.


In effetti, non si può dire che il contenuto di Blaze of Glory sia di quelli destinati a incidere un solco indelebile nella storia della musica, come d’altra parte non si può dire di Young Guns II, che resta un film poco riuscito e una pura vetrina per i protagonisti. In effetti, la critica non mancherà di andarci giù in maniera pesante, accusando il cantante di un approccio superficiale ed esteriore alla materia, rinfacciandogli addirittura la provenienza dalla costa Est e quindi una sostanziale incapacità di calarsi davvero nelle atmosfere del vecchio West. Eppure, è innegabile che qualche colpo ben assestato ci sia: la titletrack, Santa FeJustice in the BarrellMiracle e, in seconda battuta, Never Say DieBilly Get Your Gus e Dying Ain’t Much of Livin’ sono brani che si ascoltano con piacere. Il tutto comunque regge anche nel complesso e resta valido a distanza di quasi trent’anni dalla pubblicazione, a conferma della solida ispirazione dietro ad un progetto comunque estemporaneo e della qualità del songwriting del buon Jon, artista che ha saputo mettersi in gioco con naturalezza e spontaneità. Come già detto, essersi ritrovato a bordo in un momento particolare della sua carriera, gli ha consentito di sperimentare, pur rimanendo all’interno di una cornice ben definita e il risultato di questo tentativo sarà poi in parte riportato proprio all’interno della band madre, che muterà negli anni 90 il proprio approccio in maniera sostanziale, confermando una vena lirica più matura e riflessiva. Insomma, se non è tutto oro quello che luccica, l’esperimento ha dato i suoi frutti. Merita assolutamente un ascolto, in virtù di una qualità comunque ben presente e perché rappresenta un aspetto nuovo di un artista fino a quel momento saldamente ancorato ad un immaginario del tutto diverso.


Young Guns – Il Film


“Pare che nelle intenzioni del regista ci fosse una rivisitazione del western, o quanto meno il desiderio di presentare la turbinosa vita di William H. Bonney – detto Billy the Kid – in ritmi di ballata selvaggia. Malgrado le suggestioni dell’alone leggendario, questo ragazzo è un vero psicopatico (pare che un mezzo maniaco lo sia stato in effetti), che sghignazza con voce stridula quando uccide qualcuno. Quanto a linguaggio cinematografico, a vivacità di azione e di ritmi ce n’è, peraltro su moduli risaputi, che definire nuovi, freschi, equilibrati e privi di forzature sarebbe però decisamente eccessivo. Per creare una ballata ci vuole fantasia, poesia e spunti anche lirici, che nel film difettano. ‘Young Guns’, è non molto più che un film movimentato, il quale ambisce a trasfigurare nel mito e nella leggenda eventi troppo recenti.”